lunedì 4 luglio 2011

SAGGI DI FINE CORSO: SCUOLA DEL PICCOLO TEATRO DI MILANO E TEATRO STABILE DI TORINO

A che serve essere giovani se il teatro è un mondo per vecchi

di Fernanda Soana

Mi è capitato, per una fortunata coincidenza, di assistere in questi giorni ai saggi di diploma della Scuola del Piccolo Teatro di Milano e a un saggio di fine secondo anno della Scuola del Teatro Stabile di Torino. Mi sono chiesta se fosse corretto parlare in questo blog di due saggi che non avevano la pretesa di essere considerati come produzioni da mostrare al pubblico, ma semmai esercitazioni in vista dell’entrata dei giovani attori nel mondo del lavoro. Mi sono decisa comunque a scrivere, non tanto una recensione, quanto una serie di pensieri che ho avuto rispetto alla generazione di attori che farà parte della cosiddetta scena contemporanea. Iniziamo con la Scuola del Piccolo. Ho assistito nella stessa giornata a due diversi saggi, il primo: un ennesimo Gabbiano di Cecov e il secondo: un meno scontato Platonov, sempre dello stesso autore.

Guardando il catalogo delle passate edizioni dei saggi, mi sono accorta, con stupore, che la Scuola del Piccolo finisce ogni triennio presentando quasi sempre un testo di Cecov a cura di Enrico D’Amato. Ho pensato allora che il regista-insegnante credesse fermamente, e anche io in parte ne sono convinta, che l’esercitazione degli allievi su questo autore possa aiutarli a risolvere grossi problemi di recitazione.

Quello a cui ho assistito ha però dello sbalorditivo. Intanto la scarna scena, fatta di sedie inizio secolo, un siparietto con proiezioni in stile Vecchio Munch e un piccolo palco, e gli eleganti ma consunti costumi della Spinatelli, non facevano presagire niente di buono e di nuovo, ma la cosa più straniante è stata la direzione dei giovani attori. Tutti ingabbiati in gesti, intonazioni, ritmi, e posture che fanno risalire il loro lavoro agli anni 50, ovvero alle prime regie di Strehler. Incredibilmente a tratti, qualche atonalità del Ronconi anni 70, in segno di rispetto e riconoscenza per il loro Direttore. Ora, pace all’anima buona del compianto Maestro e con tutto l’amore per Ronconi, mi chiedo come possano questi ragazzi affrontare il teatro che fuori della scuola li aspetta. Come potranno incontrare Latella, Binasco, Rifici, Dante, Cirillo, Malosti e tutti gli altri, se non attraverso dei traumatici risvegli dal lungo letargo scolastico. Come potranno considerarsi degli artisti se tra i loro riferimenti non ci sono i grandi registi della scena contemporanea: Marthaler, Ostermejer, ... Non posso chiaramente scrivere che la Scuola formi cattivi attori, non ho assistito al percorso pedagogico e artistico di questi tre anni, ma ciò che si può inquietamente affermare è che il loro biglietto da visita, quello scritto per loro dagli insegnanti, non mette in luce né il talento, né le possibilità espressive dei diplomati. Li schiaccia in una forma antica, bella e utile solo se vista al museo di storia del costume. Poi diciamocelo, un conto è la poesia di Strehler, o l’acuta osservazione di Ronconi, altra cosa è lo scimmiottamento. Mi verrebbe da consigliare, ad un teatro già in seria perdita di prestigio come quello del Piccolo, che è tempo di cambiare e di svecchiare struttura e metodologia. Non sono contro il passato, credo che sia giusto per i giovani attori incontrare attori del calibro di Nuti, Lazzarini e Giannotti, è giusto raccordarli ai grandi maestri del passato, ma ancora più giusto sarebbe aiutarli ad impossessarsi degli strumenti adatti per affrontare presente e futuro.

Auguro a questi ragazzi tutto il bene, per ora mi viene da suggerire ai registi due nomi: il giovane De Mojana, intelligente e curioso e la brava Rosellini, capace di dare se stessa persino in un saggio dove il lavoro dell’attore su di sé, il lavoro sui rapporti tra gli attori in scena e tra i personaggi, la vita insomma, non sono stati minimamente presi in considerazione.

Di altro spirito il saggio su Girotondo di Schnitzler a cura del nuovo direttore della scuola di Torino Walter Malosti, con l’aiuto prezioso del coreografo Alessio Maria Romano. Qui al contrario, energia pura e libera, fantasia sfrenata (ci hanno tenuto molto a sottolineare la natura autorale del lavoro, nato sulle improvvisazioni dei ragazzi poi guidate da Malosti). I corpi degli allievi devo dire sono sorprendentemente vivi e allenati, è un piacere vedere tanta energia sul palco, tanta voglia di fare. I venti ragazzi, divisi in due gruppi, hanno presentato due diverse versioni di Girotondo, ognuno apportando la propria personalità e la propria fantasia al servizio dello spettacolo, confezionato in modo molto pop dal regista. Certo, quest’operazione che avrei stroncato se fosse stata presentata come uno spettacolo vero, visto che non risolve neanche uno dei problemi di interpretazione posti dal grande Schnitzler, infarcita così com’è di gag, e goliardie, al contrario, l’appoggio pienamente come esercitazione: qui si vedono gli interpreti, si vede che cosa possono realmente dare, anzi risultano per lo più bravi, anche se un occhio attento riesce già a dividere quelli più deboli dagli altri francamente più pronti per la professione.

A Walter Malosti, che si sta dimostrando intelligente conoscitore di ciò che serve al teatro del futuro, portando i ragazzi ad avere corpi vivi e reattivi in scena, e voci piene ma non impostate, darei, se mi è lecito, un paio di consigli: il primo è di insistere su una dizione più pulita per alcuni dei ragazzi, l’altra è di non abbandonare il lavoro sul testo. Essendo lui un bravo regista di atmosfere e sperimentazioni sonore, dovrebbe farsi affiancare da qualche insegnante che si occupi di analisi del testo, qualche attore o regista (Popolizio? Binasco? Rifici?) che si distinguono per il loro lavoro sul personaggio.

Anche a questi ragazzi auguro tutto il bene e che riescano presto a incanalare la loro commovente energia nel lavoro, anche qui qualche nome che già si distingue per autonomia e bravura: Alice Spisa, Jacopo Squizzato, Christian Mariotti e Anna Charlotte Barbera (quando non esagera).

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